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Massimiliano Mirabelli sulla graticola. Massimiliano Mirabelli all’ultima spiaggia. Massimiliano Mirabelli con le valige in mano.
Manco fossimo sul set di un’estate al mare intenti a girare la scena del barbecue, appare paradossale come l’unica stagione calcistica a dover essere giudicata prima della fine sia quella del Milan e del suo direttore sportivo calabrese. Certamente pesano sul giudizio i numerosi quattrini di cui il buon Max ha potuto usufruire nel corso dell’estate 2017, certamente pesa la scelta discutibile di rinnovare il contratto ad un allenatore (Montella) non pienamente voluto dal nuovo management milanista e quindi esonerato pochi mesi dopo, ma ci sembra, al netto di tutto ciò, alquanto ingeneroso trarre bilanci a quattro giornate dalla fine del campionato e con una finale di Coppa Italia da giocare, il prossimo 9 maggio all’Olimpico di Roma contro la Juventus.
Ma da cosa derivano e da dove provengono questi spifferi sulla presunta dismissione del Ds rossonero? La risposta è molto semplice, chiara, limpida: dai nostalgici e da chi ancora non si è rassegnato al fatto che il closing sia avvenuto e che il Milan sia oggi cinese. Gente che ha perso il posto, magari. Corrosi dall’invidia verso chi ha raccontato semplicemente la verità atta a sbugiadarli, questi avvelenatori di pozzi di professione non tifano il Milan, ma solo chi lo gestisce e chi lo gestiva (Galliani e Berlusconi).
Ora, pur riconoscendo un’infinita gratitudine e un profondo ed eterno rispetto per coloro che per 31 anni hanno reso il Milan uno dei club più vincenti al mondo con 29 trofei portati a casa e 8 finali di Champion’s League giocate, è giusto anche raccontare, se mai ce ne fosse ancora bisogno, da quale situazione Fassone e soprattutto Mirabelli siano dovuti partire: un completo disastro economico e tecnico. Alla fine della stagione 2016-2017 un Milan composto perlopiù da prestiti, parametri zero e cavalli di ritorno (Suso e Paletta), termina la stagione al sesto posto con conseguente qualificazione ai preliminari di Europa League dopo 3 anni di assenza dall’Europa e consolandosi con la inaspettata vittoria della Supercoppa Italiana, a 4 stagioni dall’ultimo trofeo vinto.
E’ in questo clima di precarietà tecnica che Mirabelli comincia, colpo dopo colpo, a ribaltare la rosa della squadra rossonera: alla fine gli acquisti saranno 11, un’intera squadra titolare. La stagione comincia tra molti bassi e pochi, l’infortunio di Conti, l’esonero di Montella del 26 novembre dopo uno scialbo 0-0 in casa col Torino e dopo aver perso tutti gli scontri diretti del girone d’andata. Primi muguni. “Inadatto, Mirabelli, è poi è pure interista”. Arriva Gattuso. “E’ solo un parafulmine”, dicono gli iper-critici. Dal pareggio beffa di Benevento con goal del portiere Brignoli alla clamorosa sconfitta sempre con le streghe a San Siro, è passato un intero girone ed il Milan è settimo in classifica, in finale di Coppa Italia ed è stato eliminato dall’Arsenal negli ottavi di Europa League. Solo numeri, direte voi. Numeri drammatici, direbbe chi dal carro è sceso da tempo ed è pronto a risalirci se il 9 maggio quella coppa verrà alzata da Bonucci e compagni. Perchè il mondo del calcio va così: quando vinci sei un bel ragazzo, quando perdi sei una testa di c...o. In mezzo però c’è stata la costruzione di una rosa giovanissima che può costituire una base buonissima per il futuro, il rinnovo di Donnarumma, riacquistato patrimonialmente alla causa del Milan dopo esserne stato lontanissimo, i rinnovi a Suso e ai giovani Cutrone e Calabria. Tutte cose dimenticate da chi rimpiange il posto gratis a San Siro e oggi deve barcamenarsi per trovare un appiglio dal quale gettare fango a palate. A te che leggerai questo articolo, rivelerò una cosa: anche io ero tra gli scettici. Anche io ho rimpianto i vecchi tempi. Anche io ho avuto nostalgia. Poi ho capito: solo gli scemi non cambiano idea.
Vero. Ruiu?
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